Nel 2001, qualche anno dopo il mio incontro “casuale” con Montségur e la storia dei Catari, che ho già avuto modo di anticipare in “Viaggio al Castello di Montségur”, pubblicato nella sezione “racconti”, mi era esploso un bisogno insopprimibile di focalizzare tutte le mie attenzioni mentali, ma anche affettive per sapere di più, per immedesimarmi, quasi, nella storia di questo popolo martire per il quale avevo provato subito una profonda empatia.
Avevo messo da parte, di colpo, ogni altro interesse, perfino un lavoro di consulenza che aveva un suo riscontro economico; tutto mi era apparso come pura vanità, mondanità materiale che va e viene, di nessuna importanza rispetto a quella meta a cui mi sentivo sospinta.
Non era stata, sicuramente, una scelta di testa, ma solo di cuore che, per tre anni, ha rappresentato la mia fonte primaria di energia vitale, cosmica e ultradimensionale.
Il libro che ne è scaturito “Viaggio a Montségur – Le guide: I Catari e la loro missione – Controstoria di duemila anni di Cristianesimo” è il diario personale del biennio 1998/1999 nel quale tutti i nodi della mia vita consci e inconsci erano venuti al pettine, intrecciandosi costantemente con ricordi, conoscenze, simbologie, trasposizioni e assimilazioni a quell’apparizione collettiva storica e spirituale dell’Europa medievale. Cancellata a suo tempo dalla faccia della Terra, riproponeva il suo insegnamento di evoluzione umana, questa volta non più dal piano materiale, incarnato, ma da quello extrafisico, cosmico, da quell’Altro Mondo, al quale, come il Cristo, avevano fatto riferimento quando erano stati in Terra.
Per me personalmente, era stato il comprendere molte cose, esperienze, avvenimenti e comportamenti che avevo vissuto dalla nascita a quel momento; un’autoconoscenza ed un autoriconoscimento che hanno dato un vero significato alla mia vita.
Il libro l’ho stampato quattro anni dopo in proprio ed è stata una via di compromesso fra me che l’avrei tenuto proprio chiuso nel cassetto, avendolo vissuto come espressione del “conosci te stesso” e mio marito il quale, giustamente, era del parere che il messaggio cataro che avevo percepito andasse divulgato e che anche la mia autoanalisi potesse essere di stimolo per altri. E così è avvenuto per qualche centinaio di persone.
L’anno scorso, ancora una volta “per caso”, non sapendo niente di niente di Internet, ho aperto questo sito Albarosa.it, quasi per gioco ed ho avuto subito modo di rendermi conto della sua diffusione veramente planetaria perchè il sito ha contatti esteri quasi più numerosi degli italiani e così ho pensato che fosse il canale più appropriato per la divulgazione “urbis et orbis” del messaggio cataro. Ho ripreso in mano il manoscritto ed ho scorporato dall’originale il discorso storico-teologico specifico che qui presento, a scadenza in varie parti, perchè il testo che ne è risultato è parecchio lungo.
Non è la Verità assoluta, certamente; è la mia Verità che ho cercato nel profondo di me stessa.
A livello materiale pochi sul pianeta conoscono la lingua italiana; a livello elettromagnetico e dell’energia del pensiero, le parole non sono fondamentali.
Per parlare del Catarismo è necessario partire dalla conoscenza della Storia per essere in grado di meglio comprendere il suo significato e la sua relazione con tutti gli attori sulla scena del mondo in questo periodo di tempo. Mi è parso interessante prendere inizio dalla concezione millenaristica dei secoli immediatamente precedenti e seguenti al fatidico anno 1000 che erano tutti focalizzati, ad ogni livello, all’attesa della fine del mondo e al ritorno di Gesù Cristo, che avrebbe dovuto mettere le cose a posto sulla Terra, nell’area dell’Europa in particolare, dove la situazione di vita era veramente drammatica.
Intanto, si trattava di un continente desolato, per la maggior parte inabitato e inospitale, coperto da foreste e paludi che rappresentavano un grave ostacolo alla vita umana. La popolazione, infatti, viveva costantemente sotto l’oppressione della fame, delle malattie, delle pandemie che la falciavano in massa; inoltre, violenze e guerriglie di ogni tipo non davano alcuna opportunità di migliorare, seppure di poco, la qualità della vita delle plebi europee di quell’epoca.
L’unica struttura organizzata che era presente su tutto il territorio ed aveva un’autorità riconosciuta era la Chiesa di Roma, che si era sostituita in toto ai presidi burocratico-militari dell’impero romano al suo disfacimento così che la cultura dominante, sia ufficiale che popolare di quell’epoca, era soltanto quella propagandata dai preti e dai predicatori erranti, imperniata esclusivamente su una interpretazione orale, retorica, approssimativa e, spesso manipolata, delle Sacre Scritture che nessuno era in grado di leggere e conoscere direttamente.
Si può ben dire che già dai secoli precedenti c’era stato un condizionamento di massa, un vero e proprio indottrinamento a livello genetico circa il cambiamento che si sarebbe verificato nell’anno 1000 con il ritorno di Gesù Cristo sulla Terra.
Già l’apocalittica ebraica nel Vecchio Testamento aveva profetizzato, nel millennio precedente, l’avvento di un Messia che avrebbe ricostruito il Regno d’Israele con il Trono di Davide e avrebbe portato pace e prosperità agli Ebrei di Palestina dopo aver cacciato i Romani, anche se poi, nei secoli successivi, gli avvenimenti della Storia andarono in tutt’altro modo.
Però la credenza, l’ideologia della venuta della divinità fra gli uomini per mettere ordine, pace e giustizia si era riprodotta dal Vecchio al Nuovo Testamento della religione cristiana con la stessa forza e la stessa fede attraverso l’Apocalisse di Giovanni e, a mille anni di distanza, se ne vivevano gli effetti.
Questo scritto di Giovanni, che si riferisce alla lotta cosmica finale fra il Bene e il Male, non è un originale cristiano, ma si rifà al filone dell’apocalittica giudaica che, a sua volta, aveva interamente assorbito l’ideologia zoroastriana. D’altra parte, il Cristianesimo storico di suo originale non ha niente; simboli, riti, teorie sono tutti mutuati da religioni e tradizioni precedenti; ha preso un po’ qua e un po’ là, ha messo insieme un corpus dottrinario che poi ha imposto ovunque con la spada..
Nonostante fosse stato ampiamente sperimentato dagli esseri umani che il Dio Padre non aveva salvato niente e nessuno; il Messia, suo figlio era stato crocefisso,la Palestina disfatta, distrutta¸il Tempio di Salomone raso al suolo nel 70 d.c. dalle armate di Tito; che 1.300.000 Ebrei, dicono le cronache dell’epoca, avessero perso la vita nei modi più atroci, che solo pochi nobili e sacerdoti del Tempio riuscirono a fuggire e, attraverso la Grecia, a rifugiarsi nelle colonie ebraiche che già esistevano e prosperavano nel centro e nel sud dell’Europa di allora, portandosi dietro quanto più possibile del tesoro del Tempio; ebbene, per l’anno 1000 si attendeva freneticamente, spasmodicamente la parusia, il ritorno di Gesù Cristo.
Il popolino aveva quell’unica speranza di vita perché, oltre alla miseria vera e propria, doveva subire i disordini politici e militari che il feudalesimo di quegli anni scatenava, aggravati spesso dai contrasti fra il potere temporale dei signori e quello, temporale e spirituale allo stesso tempo, della Chiesa di Roma che, attraverso l’imposizione delle decime, affamava ulteriormente la popolazione, ma arricchiva se stessa e i suoi vescovi oltre ogni misura.
Il Cristianesimo storico dei primi secoli, quello che doveva fare fronte alle persecuzioni, aveva rappresentato una forza ideologica e disciplinare allo stesso tempo e una grande solidità della sua organizzazione ecclesiastica, nonostante le discordie e gli scismi che pure si erano verificati, ma che venivano accantonati ogniqualvolta si doveva fare fronte agli avversari e ai persecutori.
In un contesto storico in cui il Paganesimo era totalmente sfilacciato, anarchico potremmo dire, e non rispondeva più ai bisogni di identificazione e coesione, il Cristianesimo originario con le sue enunciazioni morali, che faceva leva sul sentimento piuttosto che sulla ragione, che dava valore all’ultimo degli esseri umani, almeno in teoria, ed era stato oltre tutto originato da una reale apparizione storica, avrebbe avuto veramente la potenza di sovvertire il mondo di allora con i suoi valori, i suoi modelli, i suoi rapporti di potere.
Il Cristianesimo, al suo apparire come nuova religione e fin che fu minoritario, perseguitato, rivoluzionario, possibile sostitutore della vecchia scena del mondo, dava una grande, nuova energia agli esseri umani, innalzandoli a livelli superiori di tensione ideale e di virtù, ma anche di autovalorizzazione. In ogni caso, almeno nella idealità che propagandava, dava dignità ad ognuno indipendentemente dalla sua collocazione sociale; ma, quando divenne, dall’oggi al domani, per mera volontà politica, vittorioso, ricco e dominante, invischiato in tutte le forme peggiori di potere, perse immediatamente il suo afflato originario; non fu più guida spirituale per l’evoluzione e così sia il mondo, sia gli uomini non cambiarono affatto per essere divenuti cristiani¸anzi, possiamo dire a posteriori che la situazione politica, sociale e spirituale si aggravò ulteriormente.
Fino a Diocleziano 250-300 d.c. le persecuzioni degli imperatori romani, non solo non erano servite ad estirpare questo nuovo credo; ma, come per un effetto boomerang, esso si espandeva sempre più intensamente in tutto l’impero, coinvolgendo uomini e donne di ogni ceto sociale in una grande comunione spirituale nella quale la fratellanza e l’uguaglianza di ogni essere umano davanti all’unico Dio Padre scardinava e rimodellava il potere assoluto dello Stato e dell’imperatore.
Ben comprese Costantino il ruolo destabilizzante che il Cristianesimo originario avrebbe potuto giocare, visto poi l’insuccesso delle persecuzioni; sicchè intuì che la nascente Chiesa, forte e disciplinata, espressione di un’unica volontà, poteva divenire nelle sue mani un potente strumento di controllo e di dominio. In omaggio alla legge non scritta per cui se non si riesce a debellare il proprio nemico lo si abbraccia, Costantino dapprima si convertì in modo spettacolare, poi organizzò economicamente e dogmaticamente la Chiesa in modo che avesse la stessa funzione che, nello Stato antico, era rappresentato dal Paganesimo, cioè un’arma e una sanzione per l’autorità dell’imperatore.
Molte erano le differenze e le discordie teologiche fra i vari gruppi che si richiamavano, tuttavia, tutti al Cristianesimo e Costantino, per i suoi disegni egemonici, non poteva permettere che il suo strumento fosse debole e altalenante, così che ebbe l’altra intuizione geniale di dare ai Parlamenti ecclesiastici, che già esistevano nella Chiesa per dirimere i punti dottrinari controversi, l’autorità di istituzioni di Stato, le cui deliberazioni avevano forza di legge. I Sinodi e i Concilii imperiali ebbero una immensa importanza nella vita e nello sviluppo della Chiesa di Roma.
Costantino le diede ricchezze e privilegi e la trasformò radicalmente. A contatto con la decadenza del mondo antico e del Paganesimo più deteriore, diventò subito corrotta e lussuosa, fece propria la gerarchia dell’amministrazione romana e, tutta protesa alle cose del mondo, dimenticò subito l’amore per la semplicità e la povertà che era stato la sua forza di attrazione originaria.
Il Cristianesimo, a contatto con la corte del basso impero in disfacimento, andò subito incontro ad un naufragio morale dal momento che, da religione di minoranza perseguitata, diventò la religione di Stato, imposta ovunque con la violenza e l’annientamento di tutto il passato.
Non essere cristiani significava allora essere dei reietti, quando andava bene, o morti ammazzati nella maggioranza dei casi, nell’ottica proprio del più manifesto imperialismo che già metteva le basi, progettava il mondialismo vero e proprio dei giorni nostri.
Mentre nel mondo antico tutte le religioni e le filosofie erano considerate opinioni – e questo è l’aspetto del Politeismo – il Cristianesimo fece della sua dottrina un dogma indiscutibile, elevando a sistema l’intolleranza religiosa. Poiché la Chiesa si dichiarava l’unica depositaria della verità assoluta, riteneva di avere il diritto e il dovere di combattere non solo con la ragione, ma anche con ogni sorta di violenza, tutti quelli che non erano allineati. C’è da dire che anche al suo interno il metodo era quello; sicchè chi andava avanti, chi emergeva, aumentando sempre più il proprio potere, era il personaggio o la fazione più efferata, quella che aveva eliminato tutte le altre concorrenti, sia per le questioni dottrinarie vere e proprie, sia per le posizioni preminenti di potere.
La Chiesa di Roma era arrivata, via via nei secoli successivi, ad un livello di degradazione tale da non essere più in grado di svolgere quella funzione educativa e di guida delle masse connaturata alla sua esistenza. Addirittura, storici dell’epoca, in considerazione dello stato della corruzione della gerarchia romana, dissero che quelli erano i secoli della pornocrazia.
Per contraltare, già all’inizio del VI° secolo, migliaia di persone in tutto il continente popolato, sostenute da veri ideali di fede e per sottrarsi alla influenza della “grande meretrice” si ritiravano dal mondo, dando origine al fenomeno del monachesimo, che comprendeva due modalità di espressione: gli anacoreti, eremiti veri e propri che vivevano in solitudine nei luoghi più impervi e che, pregando e mortificando il corpo, cercavano l’esperienza mistica e spirituale del Cristianesimo e i monasteri, comunità fondate da San Benedetto in tutta l’Europa cristiana, nei quali i monaci erano soggetti ad una rigida regola di vita, improntata all’”ora et labora”, cioè alla preghiera, ma anche al lavoro e allo studio e che escludeva quindi la esasperata mortificazione del corpo.
Questi monasteri, vere oasi di spiritualità, nel corso dei secoli erano diventati molto ricchi e potenti in quanto nel marasma e nel totale decadimento morale della gerarchia ufficiale, rappresentavano un’alternativa credibile ed affidabile, la faccia spirituale della religione cristiana; tanto che i potenti e i regnanti di allora facevano dono di terre e di grandi tesori, riconoscendo il loro ruolo di intermediari con la divinità, perciò in grado di “postulare” la salvezza della propria anima, l’indulgenza plenaria e il posto in paradiso quando morivano.
Il monachesimo, in un certo senso, aveva salvato il Cristianesimo, tenendo vivi i suoi ideali; ma, in un altro modo, aveva dato vita ad una spaccatura al suo interno in quanto aveva provocato una specie di divisione fra pecore e capri. Le pecore erano i monaci, coloro che si erano ritirati volontariamente e fisicamente dal mondo per vivere con forza e purezza gli ideali cristiani; i capri erano costituiti dalla gerarchia mondana che era totalmente assorbita e condizionata dalla materia e che quegli stessi principi aveva proprio dimenticato.
Col tempo, anche il monachesimo si corruppe e si adattò sempre più agli interessi e alle passioni terrestri – e i Templari ne sono l’esempio più significativo -, ma si deve riflettere sul perché di questi avvenimenti, soprattutto sul perché ci sia stato questo rapido corrompimento del Cristianesimo delle origini che, nonostante i suoi sublimi principi, non sia stato in grado di modellare una nuova società, ma è stato esso stesso fagocitato.
Il progresso umano, inteso come evoluzione spirituale dell’uomo, ha dimostrato che la predicazione e l’insegnamento morale sono insufficienti, ma che vuole ben altro.
Per essere in grado di comprendere a fondo la funzione che l’Invisibile aveva assegnato alla nascita e alla diffusione della nuova religione cristiana, occorre avere presente che fu quella di uniformare centinaia di popoli diversi, con lingue diverse, usi, costumi e organizzazioni sociali differenti e, soprattutto, che davano forza, “nutrivano” altri dei, per circoscriverli in un rigido monoteismo. Per questo motivo diventò cattolica “universale”; si potrebbe già dire imperialista, mondialista.
Era necessaria per quell’Energia extrafisica, in quel momento, una ideologia unificatrice e omologante, ma soprattutto una struttura organizzativa terrena potente che ne fosse lo strumento edificatore e di controllo autoritario allo stesso tempo.
La struttura già esisteva ed era l’Impero Romano, sia pure nella sua fase disgregante; si trattava solo di dargli un nuovo contenuto, una nuova potenza. L’ideologia della nuova religione cristiana abbracciò e si fuse con questa ossatura così che, conclusa l’esperienza storica dell’Impero, il dominio sulla umanità di allora conglobò in esso anche la dimensione spirituale.
Dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nel 135 d.c. l’imperatore Adriano fece ricostruire la città con il nome di Aelia Capitolina e la regione Siria-Palestina, ma proibì agli Ebrei di fare ritorno nella città e, nel frattempo in cui più nessuno potè mettervi piede, un nuovo profeta e una nuova religione ammantarono tutto il Medio Oriente e Gerusalemme divenne città santa anche per l’Islam, tanto che nel 691 d.c., sulla sommità del monte che aveva ospitato il Tempio ebraico, i Musulmani costruirono il loro, noto come “Cupola della roccia”.
Nel 1071 la città fu rasa al suolo dai Turchi Selgiuchidi; nel luglio 1099 i crociati cristiani trucidarono tutti, uomini, donne, bambini, Musulmani e Israeliti, ma anche Cristiani “diversi” nel nome del proprio dio.
La Chiesa cristiana giudaica, con il suo seguito di discepoli e testimoni originari della vita e dell’operato di Gesù Cristo, soccombette insieme con la nazione ebraica nella catastrofe del 70 d.c. e scomparve del tutto dalla Chiesa Cattolica Romana che, occultando deliberatamente il ruolo di Giacomo, fratello di Gesù, e suo erede spirituale da lui stesso designato, enfatizzò l’importanza di Pietro e Paolo, in modo da poter imporre alle genti che l’autorità dei pontefici romani fosse diretta emanazione del Cristo stesso.
A Roma la nuova dottrina, radicalmente differente, propagandata da Paolo, che non era mai stata condivisa dalla originale chiesa cristiana di Gerusalemme; anzi, gli apostoli storici di Gesù avevano sempre contestato e diffidato Paolo stesso dal diffondere come verità rivelata della nuova religione le sue visioni e le sue interpretazioni delle scritture bibliche, aveva avuto, in un certo qual senso, il monopolio dell’evangelizzazione: vera o non vera, era rimasta l’unica voce in circolazione.
L’imperatore Costantino, poi, aveva fatto il resto; nel Concilio di Nicea nel 325, fu emesso, a maggioranza, il verdetto che la guida spirituale degli Ebrei, vissuta nel I° secolo, era veramente un dio e tutto quello che era stato prima, durante e dopo; qualsiasi minimo accenno di dubbio o di esitazione fu, da quel momento in avanti, estirpato con ogni sorta di violenza, proprio con l’eliminazione fisica più brutale di chiunque non fosse stato totalmente credente, plagiato o asservito.
L’inizio dell’era cristiana romana coincise con l’avvento dei secoli bui, fino a quanto la Riforma non indebolì un po’ il potere della Chiesa Cattolica, durante i quali calarono le tenebre su ogni forma di sapere; il dogma e la superstizione si sostituirono alla conoscenza e la civiltà occidentale di quell’epoca regredì ad uno stato di vera e propria barbarie.
In pochi giorni la biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande del sapere umano esistente nel mondo di allora, fu ridotta in cenere dai Cristiani, guidati dal Patriarca Teofilo. San Giovanni Crisostomo, padre della Chiesa e patriarca di Costantinopoli, commentò la : “straordinaria impresa…. Ogni traccia della filosofia e della letteratura del mondo antico è scomparsa dalla faccia della Terra …” (1)
La Chiesa Cattolica Romana bandì l’istruzione perché la “diffusione della conoscenza avrebbe solo incoraggiato l’eresia” (2) e, consapevole di essere un castello costruito sulle sabbie mobili, temeva di essere travolta dalla libertà di pensiero e di ricerca della verità, che l’avrebbero messa con le spalle al muro e destituita dal suo dominio.
Tutte le conquiste umane, tutto ciò che poteva rappresentare la dignità e l’emancipazione degli esseri umani venne disprezzato, rimosso, perseguitato nel nome di Gesù: l’arte, la filosofia, la letteratura secolare, l’astronomia, la medicina, la matematica e, in particolare modo, la negazione della sessualità, che doveva servire solo per la procreazione, divenne una vera e propria arma psicologica diabolica che assoggettava il corpo e la psiche.
La conversione spettacolare di Costantino e la successiva designazione del Cristianesimo quale religione dell’Impero non erano stati sufficienti a farla accettare dai popoli e quindi a dare quella stabilità necessaria all’attuazione del piano monoteista, sicchè occorsero altri interventi “divini”, malgrado Costantino avesse già conferito valore di legge sanzionatoria alle deliberazioni dei Parlamenti e dei Sinodi ecclesiastici.
Nel 496 d.c. l’esistenza della Chiesa di Roma era seriamente minacciata da ogni sorta di contestazioni. Già il Vescovo di Roma si faceva chiamare Papa, ma non era riconosciuto quale capo supremo della spiritualità; anzi, doveva lottare strenuamente per sopravvivere fra scismi e divergenze dottrinarie di tutti i tipi. Aveva grandi conflitti soprattutto con la Chiesa Cristiana Celtica e l’eresia ariana.
Ario, un vescovo di Alessandria d’Egitto, contraddicendo il Concilio di Nicea, insegnava che, per quanto riguardava la natura divina, Gesù Cristo non era simile al Padre, bensì rappresentava il più nobile fra gli esseri da lui creati, un modello umano perfetto, un essere semidivino fra Dio e il mondo. Questa concezione di un “figlio di Dio” in posizione subordinata si confaceva alla mentalità pagana e l’Arianesimo si diffuse, dalla corte di Antiochia, fra i Goti, i Visigoti, i Vandali e altri Germani.
In quegli anni, la Chiesa di Roma, dilaniata da continue lotte intestine, per non soccombere, molto probabilmente “ispirata”, giocò una carta vincente. Si rivolse a Clodoveo I°, re merovingio dei Franchi, che stava divenendo nell’Europa di allora il sovrano più potente e stipulò con lui un patto segreto per l’eternità, in analogia con quello che nell’Antico Testamento aveva legato Davide al suo dio YAHVE’
In ragione di quel patto, Clodoveo divenne la spada della Chiesa, lo strumento politico e secolare con il quale essa imponeva il suo dominio spirituale e la sua egemonia, sradicando con qualsiasi mezzo ogni eresia e ogni, anche minima, differenziazione o critica.
In cambio, Clodoveo ricevette da lei il titolo di “Novus Costantinus”, praticamente la nomina a Imperatore di quell’Impero Romano, ora “Sacro” che, alla morte di Costantino fu diviso fra i suoi figli e successivamente distrutto dai Visigoti e dai Vandali.
Il patto fra Clodoveo e la Chiesa ebbe conseguenze enormi per la Cristianità per tutti i secoli che seguirono. Il battesimo del re a Reims nel 496 segnò la nascita del nuovo Impero Romano Cristiano, basato sulla Chiesa di Roma e amministrato dalla stirpe merovingia. Venne stretto un vincolo indissolubile fra Chiesa e Stato, ognuno dei quali giurava all’altro fedeltà perpetua. Da qui il moto che caratterizzò tutto il medioevo, fino alla Riforma, ufficialmente, ma forse vige ancora ai giorni nostri con interlocutori differenti: “Fammi Papa e io ti farò Re; fammi Re e io ti farò Papa”
Clodoveo, fin che morì nel 511, realizzò quanto la Chiesa si aspettava da lui; le conversioni di massa e la fede nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana furono imposte ovunque in modo assolutamente efficiente con la spada e con la terra bruciata e, con il mandato spirituale e la sanzione della Chiesa, il regno franco estese di molto i suoi domini territoriali, sia a Nord che ad Est, comprendendo quasi tutta l’attuale Germania.
Gli avversari più importanti che affrontò sul suolo francese furono i Visigoti che erano attestati con un loro impero a cavallo dei Pirenei; nel 507 furono definitivamente cacciati da Tolosa e da Carcassonne, persero l’Aquitania e dovettero ritirarsi nel Razès, loro ultimo bastione, a Rhédae, l’attuale Rennes-les-Chateaux.
Alla morte di Clodoveo, secondo l’uso merovingio, il suo Impero venne diviso fra i suoi quattro figli maschi; ma nei 150 anni successivi, la dinastia si corruppe e si disgregò, tanto che gli intrighi e gli assassini politici erano all’ordine del giorno e la società civile era allo sbando. Questo diede un potere sempre più grande ai cancellieri e ai ministri di palazzo che, successivamente, costituì il fattore determinante nella caduta della dinastia che avvenne, storicamente, con la morte di Dagoberto II° alla fine del 679.
Dagoberto sposò in seconde nozze Giselle de Razès, nipote de re dei Visigoti e si insediò sul trono degli avi in Austrasia, cioè Francia del nord e parte dell’attuale Germania, . S’impegnò subito con fermezza a consolidare la sua autorità, reprimendo l’anarchia e ristabilendo l’ordine fra i nobili ribelli e si propose di riconquistare l’Aquitania, persa dai Visigoti ad opera di Clodoveo 150 anni prima. Grazie alla moglie poi, era venuto in possesso dell’attuale Linguadoca e sembra che avesse aderito alla corrente ariana del Cristianesimo, già praticata in modo riservato dalla famiglia reale visigota. Incorse nella collera delle gerarchie ecclesiastiche perché ostacolò i tentativi di espansione della Chiesa nei suoi territori e, in soli tre anni di regno, volendo impersonare e fare rivivere il carisma e l’alone leggendario dei primi sovrani merovingi, che si dichiaravano discendenti da un essere divino venuto dal mare, si fece molti nemici influenti sia religiosi che laici.
Il suo maestro di Palazzo, Pipino d’Heristal, detto il Grosso, lo fece uccidere da un servo il 23 dicembre del 679 a Stenay, al limitare delle Ardenne, in un bosco sacro, in occasione di una battuta di caccia.
Nonostante che del tutto virtualmente alcuni personaggi secondari continuarono ad essere re per alcune decine di anni ancora, l’assassinio di Dagoberto può essere considerato come la fine della dinastia Merovingia.
Il figlio di Pipino il Grosso fu Carlo Martello, che bloccò nel 732 l’invasione dei Mori a Poitiers e fu dichiarato per questo “difensore della fede e della cristianità”, tuttavia non volle il trono, pur avendone la designazione.Lo fece invece nove anni dopo suo figlio Pipino 3°, detto il Breve, maestro di palazzo di Childerico III°, dando avvio alla dinastia Carolingia
Per deporre il re legittimo, chiese ed ottenne l’appoggio della Chiesa di Roma che già anni prima aveva visto di buon occhio l’eliminazione fisica di Dagoberto e il Papa, in nome della sua autorità apostolica, decretò che Pipino il Breve venisse incoronato Re dei Francesi, in aperta violazione del patto concluso con Clodoveo nel 496.
Per giustificare ed avallare questa azione che, obiettivamente, costituiva un tradimento, in quanto il patto riguardava la stirpe e non la singola persona, la Chiesa Romana tirò fuori un documento che secoli dopo si rivelò come un falso clamoroso, inventato di sana pianta dalla gerarchia vaticana, ma che in quel momento, anno 780, cambiò il corso della storia.
Si trattò della famosa : “Donazione di Costantino”, (4) vale a dire di un atto, di uno scritto con il quale l’Imperatore, al momento della sua conversione al Cristianesimo nel 312 d.c. aveva ceduto al Vescovo di Roma i suoi simboli imperiali, che erano così diventati di proprietà della Chiesa. Inoltre, Costantino stesso avrebbe riconosciuto il Vescovo di Roma come Vicario di Cristo in Terra ed avrebbe offerto a lui lo status di Imperatore. Dopo questo riconoscimento, il Vescovo aveva restituito le insegne imperiali a Costantino, il quale però, da quel momento, era stato sottoposto alla sua autorità.
Le implicazioni che derivarono da questo falso documento furono che il Vescovo di Roma potè rappresentare la suprema autorità religiosa e secolare allo stesso tempo; cioè essere un Papa-Imperatore che poteva disporre e delegare il potere in modo assolutistico, cioè come meglio l’avesse ritenuto; nel nome di Cristo si arrogava il diritto di creare e di deporre sovrani.
Il risultato di tutto questo fu la frattura con le dinastie reali basate sulla discendenza del sangue in quanto, tramite il rito dell’unzione con l’olio santo, il Papa, unico mediatore supremo fra Dio e i re, conferiva al suo candidato la “grazia divina” per essere sovrano, non il diritto, e così tutti i monarchi venivano subordinati e sottomessi al pontefice, consentendo, loro malgrado, l’ingerenza dominante del Vaticano nella vita e nella organizzazione secolare.
C’era una specie di clichè fisso per le “conversioni”: si agiva sul capo, quasi sempre attraverso le mogli che erano le prime a convertirsi alla nuova religione, tramite qualche prete o frate che, immancabilmente appena morto, veniva dichiarato santo. Una volta cooptati i capi, generalmente in cambio di legittimazioni, riconoscimenti, poteri vari, tutti i loro popoli divenivano cristiani dalla sera alla mattina con le buone o con le cattive.
L’esempio è rappresentato proprio da Clodoveo I°, re dei Merovingi, che fu convinto a convertirsi dalla moglie Clotilde e dal suo consigliere spirituale Remigio, che fu proclamato santo dalla Chiesa come lei. Così è stato per diversi capi “barbari” che, con il battesimo, si assumevano anche l’incarico di fare il “lavoro sporco”, cioè di fare piazza pulita fra la loro gente dei recalcitranti, dei dubbiosi, di tutti quelli che non erano entusiasti della nuova fede.
Del patto con la Chiesa del 496 fino alla sua morte è già stato detto di come agì Clodoveo, ma anche i Longobardi in Italia non furono da meno. Rotari si barcamenò, cercò un compromesso fra la nuova religione e la tradizione tribale. Con Liutprando, invece, pochi anni dopo, ci fu la debacle totale: promulgò leggi con le quali perseguitò e mise a morte quanti del suo popolo, in modo clandestino ed istintuale, erano scoperti o solo sospettati di invocare gli dei della tradizione, di venerare ancora le fonti d’acqua, gli alberi e gli Spiriti della Natura.
Liutprando diede l’avvio alla caccia alle streghe.
Questa ricostruzione storica è stata necessaria al fine di comprendere il perché della crociata contro i Catari e la Linguadoca, dell’annientamento della sua legittima nobiltà e della messa a ferro e a fuoco di un’intera regione che, fino a quel momento, aveva rappresentato un modello di convivenza evoluto per il suo tempo; un’anticipazione della libertà di coscienza e della multiculturalità che sono poi diventati i valori fondamentali della civiltà europea.
L’anno 1000 era arrivato, il mondo non era finito; Gesù Cristo non era ritornato e le cose andavano sempre peggio. Nel 1095 si direbbe, miracolosamente, capitò un imprevisto che permise di uscire dal cul de sac in cui la Chiesa, in particolare, si trovava.
In quell’anno, il Papa Urbano II°, originario della Provenza, ricevette una richiesta di aiuto da parte dell’Imperatore dell’Impero Romano di Oriente per far fronte alla continua invasione dei suoi territori da parte dei Turchi. Urbano II° vide subito in questa richiesta l’occasione di ristabilire il primato della Chiesa di Roma in Oriente che anni prima aveva perso con uno scisma, e intese subito organizzare una spedizione militare in sostegno dell’imperatore di Bisanzio.
Per procurarsi i mezzi economici necessari per questa impresa di guerra, convocò lo stesso anno a Clermont Ferrand, in Provenza, un concilio con questa finalità e subito riscosse un’adesione entusiastica da tutta la nobiltà più evoluta dei regni indipendenti della Provenza, della Lorena, dell’Aquitania, della Champagne, delle Fiandre che, peraltro, fino a quel momento non aveva mai dimostrato alcuna sottomissione alla Chiesa di Roma, bensì era stata sempre dedita alla cura e alla difesa dei propri interessi, gelosa della sua autonomia, che difendeva con le unghie e con i denti. Ebbene, questa nobiltà divenne, apparentemente contro ogni aspettativa, la sostenitrice e la finanziatrice di quella che diverrà la prima crociata, il cui scopo dichiarato era quello di recuperare alla cristianità il Sacro Sepolcro e Gerusalemme; anzi, impose proprio questo obiettivo al Pontefice, la cui intenzione iniziale era limitata all’invio di un’armata di supporto all’esercito di Commeno.
I mezzi finanziari erano pronti ed abbondanti; occorrevano le truppe, perciò si dovette trovare il modo più efficace per arruolare centinaia di migliaia di uomini da mandare sul campo di battaglia. Non fu difficile, visto che il livello di vita delle masse era al di sotto della sussistenza, come si direbbe oggi e, in quei ricchi territori rispetto al resto dell’Europa, scorazzavano numerose bande violente ed affamate di predoni, specialmente di giovani, provenienti dalle Fiandre e dalla Renania, che avevano come unico mezzo di sopravvivenza la razzia, la messa a ferro e a fuoco, la violenza sistematizzata.
L’economia agricola dei feudi non era in grado di dare da mangiare a tutti, perciò, rispetto alle risorse, c’era un surplus di popolazione giovane che, se non intervenivano guerre o provvidenziali epidemie sterminatrici, costituiva un vero problema, diremmo oggi, di ordine pubblico, causa di disordini e gravi sovvertimenti del potere costituito.
Si trattava solo di irregimentare e controllare queste orde di disperati e il compito di convincerli venne affidato ai religiosi di strada, cioè ai frati predicatori, agli eremiti, ai profeti, come erano allora intesi dal popolino di cui, in qualche modo, ne condividevano la grama esistenza.
Fra di essi la Storia ricorda in particolare Pietro l’eremita, che era considerato un santo dal popolo e che fu il più acceso trascinatore di folle circa la presa di Gerusalemme e del Sacro Sepolcro.
Il gioco era facile; a queste moltitudini affamate, violente, senza alcuna aspettativa di vita, intanto veniva promesso un bottino di guerra, poi veniva loro detto che combattere per “nostro Signore” avrebbe comportato il riscatto, la gloria, l’indulgenza plenaria e il posto in Paradiso anche per tutti i familiari e che “gli ultimi saranno i primi” come già aveva dichiarato Gesù Cristo stesso; e così vennero avviati senza paga, senza equipaggiamento, senza alcuna disciplina, totalmente offuscate da una esaltazione di massa, esplosiva ed incontrollabile di per sé stessa, sulla strada per Gerusalemme, che loro non immaginavano neanche dove fosse, tanto che ad ogni città che attraversavano, magari a solo 10 chilometri da dove erano partiti o dalla tappa precedente, credevano già di essere arrivati.
Milioni di persone si erano messe in marcia, non solo uomini, ma donne e bambini, miserabili di tutti i tipi; dovevano razziare per sopravvivere; ma, nonostante ciò, ci fu un vero e proprio olocausto fra le loro file. Anche i primi pogrom di massa contro gli Ebrei avvennero proprio in questa circostanza storica perché, intanto c’era la necessità vitale del saccheggio e le comunità ebraiche che incontravano, oltre che essere benestanti, particolarmente nelle zone dell’attuale Germania, avevano il “pregio” di essere degli infedeli, che avevano ucciso Gesù Cristo e che perciò dovevano essere fatti fuori senza pietà per la maggior gloria del dio cristiano e per il personale posto in paradiso.
Una minoranza era anche riuscita ad arrivare a Gerusalemme nel 1099, ma lì la situazione era diventata ancora più tragica. Trascorsi i primi giorni di bottino e di saccheggi, non c’era rimasto più niente, in una terra arida di per sé, sicchè avvennero aberrazioni di tutti i tipi. Le cronache di allora dicono addirittura che venisse mangiata carne umana e questo sembra molto verosimile data la situazione.
Per tre giorni i crociati massacrarono sistematicamente e indistintamente tutti gli abitanti di Gerusalemme, oltre trentamila; diecimila Musulmani che avevano cercato riparo sul tetto dell’Al-Aqsa furono brutalmente trucidati, per non parlare degli Ebrei che venivano radunati nelle sinagoghe a cui veniva dato fuoco. Non ci furono quasi sopravvissuti.
Perfino i cristiani copti, palestinesi, ortodossi, monofisiti, che non erano riusciti a fuggire in Egitto, fecero la stessa fine degli infedeli perché nella loro ignoranza spietata e feroce unita al fanatismo religioso, i crociati non facevano nessuna distinzione fra persona e persona, tra religione e religione.
Secondo le cronache dell’epoca, le strade erano letteralmente inondate di sangue e alla fine non rimase più nessuno da uccidere; ma cinque mesi dopo non era ancora finito il lavoro di “bonifica”, cioè non ancora si erano bruciati tutti i resti dei corpi umani che ammorbavano l’intera zona.
Tuttavia, il Papa di Roma e la classe dirigente europea, Franca in particolare, ritennero che questa Crociata avesse goduto della speciale benedizione divina.
Da quel momento in poi i Musulmani sarebbero diventati per l’Occidente “una razza vile e abominevole, assolutamente lontana da Dio”, che doveva essere sterminata. I Franchi si ritennero il nuovo popolo eletto, essendo subentrati agli Ebrei, divenuti indegni, nel “favore” di Dio stesso.
Il Regno cristiano di Gerusalemme ebbe fine nel luglio del 1187, a seguito della schiacciante vittoria di Saladino che, a mano a mano che avanzava in Palestina, riceveva la resa incondizionata di ogni città. I Cristiani, per la maggior parte, si riversarono in Gerusalemme per tentarne la difesa, ma erano terrorizzati e disperati per la loro vita.
Saladino, dapprima, aveva considerato come un dovere vendicare il massacro del 1099 ed era determinato a non mostrare alcuna pietà per gli abitanti; poi, a seguito di varie trattative, accettò di conquistare la città in modo pacifico.
I Franchi sarebbero stati considerati suoi prigionieri, ma avrebbero potuto essere riscattati per una cifra molto modesta. Il sultano mantenne la parola e non un solo cristiano fu ucciso.
I notabili poterono facilmente permettersi di pagare il proprio riscatto, al contrario dei poveri, che divennero prigionieri di guerra. Moltissimi di loro vennero resi liberi per la gratuita generosità di Saladino che ne ebbe pietà quando vide che i nobili, i mercanti e soprattutto gli alti prelati, fuggivano dalla città con tutti i loro averi, lasciando in balia dei vincitori i loro compatrioti e correligionari più miseri.
Così, i Cristiani occidentali dovettero dolorosamente prendere atto che questo sovrano musulmano si era comportato in modo assai più “cristiano” dei Crociati all’epoca della conquista di Gerusalemme.
Le crociate, che si susseguirono almeno fino alla metà del XIV° secolo, innescarono una serie di reazione a catena i cui effetti ancora continuano ad operare ai giorni nostri. Erano delle vere e proprie spedizioni militari che, fra gli altri scopi occulti, non dichiarati, avevano quello di indurre l’emigrazione in massa di centinaia di migliaia di persone, assolutamente eccedenti rispetto alle risorse del loro luogo di origine e soprattutto di allontanare o controllare, in qualche modo, i cavalieri, cioè quei mercenari che, in bande organizzate, facevano della guerra, della razzia e della messa a ferro e a fuoco la loro ragione di vita. Erano divenuti così forti e potenti, nonostante si ammantassero di qualche giustificazione, che rappresentavano la piaga politica e sociale del momento e davano molto fastidio alla classe dirigente sia laica che religiosa.
Già la prima crociata per loro, materialmente, aveva reso poco o nulla. Il Santo Sepolcro era vuoto e vuota la loro vittoria. I sopravvissuti, ritornati in patria, si sentirono ancora più sradicati e, delusi dalla guerra e dalla religione, ripresero a vagare per l’Europa, elemosinando cibo o costituendo le bande organizzate che terrorizzavano il continente.
Accanto alle crociate ufficiali, ve ne furono altre “popolari”, tacitamente consentite dalle autorità. In particolare si ricordano quelle tragiche dei bambini, poveri naturalmente, del 1212, nella quale molte migliaia morirono di fame e di stenti prima ancora d’imbarcarsi per la Terrasanta; altri finirono annegati o preda dei pirati che li vendettero come schiavi ai Saraceni.
Noi oggi ci scandalizziamo tanto per i bambini-soldato dei Paesi sottosviluppati del 3° o 4° mondo e nascondiamo la testa nella sabbia per non ammettere che questo è il mezzo più inumano, ma più sicuro, per la riduzione demografica, quando le risorse non sono sufficienti, sia pure per la mera sopravvivenza. Al controllo delle nascite, ad una pianificazione della natalità, si continua a scegliere il genocidio di massa, l’olocausto perenne anche in questo tempo della storia e della civiltà umana in cui scienza e conoscenza potrebbero orientare in modo responsabile la procreazione e, quindi la continuazione della specie in forme sostenibili e dignitose.
Le crociate, ovviamente, furono anche fonte di ricchezza per molti, già ricchi e potenti e possono anche essere viste come anticipazione delle guerre coloniali in quanto permisero agli Occidentali, in particolare alle Repubbliche marinare, d’insediarsi sulle coste orientali del Mediterraneo e costituire un intenso e redditizio traffico commerciale.
Ad ogni modo innescarono delle variabili di trasformazione della società feudale che mascherava col fervore religioso quella che, in realtà, era una insofferenza delle masse in miseria verso i privilegi e le ricchezze della Chiesa e della nobiltà e che, secoli dopo, sfocerà dapprima negli scismi e nella Riforma Protestante, poi nella Rivoluzione Francese.
Chi non si lasciò mai coinvolgere in alcun modo negli avvenimenti contemporanei, furono i Catari della Linguadoca che, nell’oscurantismo della miseria materiale e spirituale generalizzata di quell’epoca, rappresentavano una specie di oasi benedetta, di molti secoli avanti sulla spirale dell’evoluzione. Il Catarismo non era presente da solo come religione o eresia, secondo i punti di vista, in quel territorio, bensì era tutto un brulicare di sette, di gruppi ereticali e singoli predicatori che si richiamavano tutti al Cristianesimo, ma operavano in opposizione alla Chiesa di Roma a causa della sua nefandezza, per spingerla ad una maggiore purezza o per rivendicare condizioni di vita più accettabili per le masse allo sbaraglio.
In particolare, un altro consistente gruppo alternativo era rappresentato dai Valdesi, i quali, apparentemente, sembrava che dicessero le stesse cose dei Catari; ma, nella realtà, la loro azione era volta solo a “far pulizia” nella Chiesa ufficiale, e non avevano con essa alcuna divergenza sulla dottrina, che per loro andava bene in toto.
Roma era costretta, suo malgrado, a prendere atto che quella regione del sud della Francia era quasi del tutto persa per lei perché troppi erano i suoi contestatori che avevano grande presa sul popolo e soprattutto non incassava le decime e questo era ciò che meno era disposta a tollerare, perché veniva meno l’imperium” romano, espressione del suo dominio.
Doveva correre ai ripari in modo drastico ed iniziò un’azione a due raggi: da un lato le scomuniche, dall’altro la predicazione dei frati francescani, ma soprattutto domenicani, il cui Ordine nacque proprio in quegli anni ad opera di Domenico di Guzman, che imitavano i loro avversari, andando fra il popolo da poveri a predicare la parola e gli insegnamenti di Gesù Cristo e a rivalutare il primato della Chiesa come unica rappresentante e intermediaria con il dio cristiano.
Ed infatti, chi non aveva una sua differente base teorico-dottrinale e una sua distinta organizzazione episcopale e che manifestava solo una protesta morale, si lasciò subito convincere e, come il Figliol Prodigo, ritornò nell’ortodossia, nella “vera fede” come i Valdesi che, da quel momento, contribuirono alla emarginazione, se non proprio alla persecuzione dell’eresia catara.
I Catari non erano minimamente interessati a quanto accadeva sul piano dell’attualità storica in quanto, secondo la loro teologia, tutto quanto avveniva sulla Terra era opera del “Signore di questo mondo”, cioè di Satana e quindi una manifestazione diabolica.
Sulla scia dello gnosticismo e del manicheismo che erano stati estirpati con il sangue già nei secoli precedenti, erano dualisti, cioè facevano una separazione drastica fra Spirito e Materia, correlati rispettivamente a due principi o Dei contrapposti, l’uno buono e l’altro malvagio.
Il Dio buono, il vero Padre Creatore, puro spirito, non contaminato dalla materia corruttibile, era il Dio dell’Amore, ma le sue prerogative non erano compatibili con il mondo della manifestazione della materia stessa, nel quale era padrone incontrastato il dio malvagio, la cui essenza specifica era il potere.
Secondo i Catari il Dio dell’Amore non era onnipotente, in quanto il Dio malvagio conduceva contro di lui una guerra senza tregua per contendergli di continuo quella vittoria che, in ogni modo, Egli avrebbe conseguito alla fine dei tempi.
Gli uomini erano le spade inconsapevoli con cui questi due Dei inconciliabili combattevano la loro guerra nel cosmo: Luce contro Tenebra, Bene contro Male e, il libero arbitrio di cui gli uomini stessi erano dotati, poteva da essi essere esercitato coscientemente, dopo che, avendo avuto conoscenza di questo conflitto cosmico, si fossero schierati da una parte o dall’altra.
In considerazione di queste credenze, la loro visione della vita e della storia non era orizzontale, cioè non credevano nell’evoluzione e nell’uscita automatica dal male con il trascorrere dei tempi, dal momento che la creazione materiale e tutto quanto in essa si manifestava era destinato alla degenerazione e alla morte.
Anche l’essere umano, in quanto fatto di carne, era un’espressione diabolica; tuttavia, era presente in lui, per quanto misconosciuta e repressa, una particella di Luce: L’incarnazione era una necessità prevista dal Dio della Luce, proprio al fine del riconoscimento di quella scintilla e della consapevolezza del collegamento con il suo “Regno” e della necessità di relazionarsi ad esso.
Nel corso della sua vita, l’uomo non doveva lasciarsi travolgere, “mangiare”, potremmo dire, dalla materia e dare forza quindi a quel Rex Mundi, che è vero che conferiva il potere e la ricchezza, ma anche la morte, nella sua articolazione: nascere, brillare, sparire. Se la scelta dell’uomo, invece, fosse stata spirituale, immateriale, il più possibile scevra, pura dalla contaminazione dalle cose del mondo, quindi legata al Puro Spirito Dio dell’Amore, ciò gli avrebbe consentito di ricongiungersi alla Patria Celeste, a quell’Altro Mondo di cui i Catari si dicevano figli.
Dal punto di vista mistico, la realtà materiale, fenomenica, è il corrispettivo di quella extrafisica “divina”, nuomenica, per cui si può comprendere come gli uomini siano i veicoli fisici attraverso i quali le Potenze, gli Dei si contendono la loro supremazia sull’umanità o, di volta in volta, su parti di essa. Le guerre sulla Terra sono la concretizzazione nella densità della materia delle lotte che nel cosmo avvengono fra gli Dei per il potere e per la loro assoluta necessità vitale di nutrirsi delle energie degli uomini per mantenersi nel loro stato di esistenza.
In Linguadoca, nella Valle dell’Aude e nelle montagne dell’Ariège i Catari non erano la maggioranza numerica; tuttavia, nella secolarizzazione, nell’indifferenza o nella fuga vera e propria dalla Chiesa Cattolica, costituivano una forte minoranza molto attiva e rispettata, i cui “sacerdoti”, i Perfetti e le Perfette godevano fama di grande santità., tant’è che erano chiamati “buoni uomini”, “buoni cristiani”.
La comunità catara disponeva di molti beni materiali perché, chi si faceva Perfetto, e molti erano nobili e ricchi borghesi, facendo voto di povertà assoluta, donava tutto alla Chiesa Catara, così come molti semplici credenti le donavano o la facevano erede delle loro proprietà. I Perfetti facevano amministrare tutto questo patrimonio da credenti o simpatizzanti, nell’interesse della Chiesa, e lo utilizzavano nell’aiuto immediato ai poveri e agli emarginati e al mantenimento delle loro numerosissime case che erano contemporaneamente scuole, monasteri e ospedali.
Fondavano comunità operaie, in particolare grandi laboratori di tessitura, che avevano la funzione sia di centri educativi per la gioventù, sia di preparazione, per chi l’avesse voluto, a divenire membri effettivi della Chiesa, cioè Perfetti. In particolare, le nobildonne catare, donando dapprima le loro proprietà alla Chiesa, fondavano dei conventi dove educavano sia le giovani bisognose, sia le figlie della nobiltà e della borghesia che erano orientate ad una formazione spirituale profonda.
Fra le montagne della Valle dell’Ariège si formarono molte comunità monastiche femminili, nelle quali le donne si riunivano e vivevano in grotte o in piccole capanne, dedicandosi alla meditazione e alla preghiera.
I Perfetti, soprattutto, erano tenuti in grande considerazione dal popolo per le loro capacità di guaritori. Andavano ovunque e da chiunque avesse bisogno e li chiamasse e, con l’imposizione delle mani, attraverso cui trasmettevano l’energia, lo Spirito, erano un potentissimo veicolo terapeutico. Affinchè il loro fluido potesse agire, era necessario che gli ammalati credessero, avessero una forte fede in essi, li “adorassero”, inginocchiandosi davanti a loro e dicendo di volersi sottomettere allo Spirito Santo. Questa adorazione non era certamente rivolta alla loro persona, bensì al Dio dell’Amore tramite essi. Il credente non adorava il Perfetto, ma la Scintilla Divina che era in lui.
Inoltre, vivevano da poveri tra i poveri, condividendone la vita e le fatiche; erano sempre disposti a lavorare con loro e davano una grande forza morale alla gente con l’esempio della loro vita di servizio disinteressato. Erano grandi predicatori e infaticabili camminatori e, magri, vestiti di nero, con capelli lunghi e carnagione pallida, visitavano continuamente castelli e villaggi, sempre in due, e riscuotevano ovunque una grandissima venerazione.
Insegnavano al popolo a leggere e a scrivere e distribuivano i loro testi sacri, essenzialmente il Vangelo di Giovanni tradotto nella lingua occitana, perché ogni credente avesse la possibilità di apprendere, di meditare, di conoscere e di pregare direttamente il Padre, il Dio della Luce.
In compenso, non costruivano edifici per il culto; i riti e le funzioni venivano celebrati all’aperto, nei boschi, nelle caverne naturali, nelle case o addirittura nei granai e negli ovili dei credenti. Erano rigorosamente vegetariani e non violenti.
La loro Chiesa la definivano “Chiesa dell’Amore”; non faceva violenza a nessuno, ma aiutava tutti e, chi entrava in essa, si sentiva più vivo interiormente, la sua vita acquistava significato.
Questa non era solo un’aggregazione religiosa alternativa alla Chiesa di Roma, bensì in essa, o accanto ad essa, c‘erano i fondamenti di una diversa concezione della vita umana, sia nel suo aspetto individuale, che in quello della comunità nel suo insieme.
Note: 1) C: Knight, R. Lomas – Il secondo Messia pag. 85 – Mondadori, Milano, 1985
2) id, op. cit., pag, 85
Questo saggio è il capitolo 1° del libro in preparazione:
“I CATARI E LA LORO MISSIONE -contro-storia di duemila anni di Cristianesimo”
dell’autrice GIUSEPPINA ROSA COSTA
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