I CATARI E LA LORO MISSIONE — 3° CAPITOLO

Nell’Europa feudale di quei secoli, la situazione politico-sociale ed economica del sud della Francia era del tutto diversa rispetto al resto del continente.  Grazie alla legge romana trasmessa dai Visigoti, il feudalesimo non  aveva attecchito, perciò non era presente la figura del servo della gleba sul quale il signore avesse diritto di  vita e di morte, legato al feudo anche per le generazioni successive. Anzi, vigeva l’istituto del “contratto libero”, cioè della trattativa privata tra il feudatario e il cittadino per la prestazione di un servizio o l’usufrutto di un bene.  Magari i rapporti di forza non erano, nella realtà, così paritetici; tuttavia esisteva il principio riconosciuto del diritto e non della sopraffazione del più debole ad opera del più forte.

La Provenza e la Linguadoca  erano regioni molto ricche; nelle città il denaro scorreva a fiumi perché era molto diffusa e praticata una specie di “ideologia del lavoro” come la chiameremmo oggi, per cui il territorio era disseminato di ogni sorta di opificio e intrapresa; i commerci con tutto il mondo conosciuto erano fiorentissimi; nelle campagne l’agricoltura era molto curata con proventi lucrosi.  La nobiltà non stava chiusa nei suoi castelli a consumare ricchezze; bensì, in concorrenza con i borghesi delle città, si faceva promotrice di iniziative, attività e scambi. I Catari, fra i loro principi di vita, avevano quello per cui ognuno dovesse vivere del proprio lavoro e non sulle spalle degli altri tanto che, quando i nobili divenivano Perfetti o, molto più spesso Perfette, rinunciavano alle loro proprietà e al loro status e si mettevano a praticare un mestiere che consentisse loro di mantenersi.

L’altra faccia della medaglia era però rappresentata dalla violenza armata, una guerra permanente che era fonte continua di lutti, di scorrerie e di rappresaglie che rendevano il vivere insicuro, precario e nel disordine sociale.  Questa violenza, così estesa ed agguerrita, aveva diverse cause, di cui la prima era di ordine politico. La Contea di Tolosa, già dal X° secolo, comprendeva la Contea di Foix, la Linguadoca e la Provenza, nominalmente soggette al conte di Tolosa, i cui vassalli, però si comportavano in modo del tutto indipendente o erano addirittura in ribellione permanente, cogliendo ogni occasione per allearsi con i nemici del loro sovrano per indebolire il suo potere su di loro. In tempi successivi, all’epoca delle eresie, l’altro motivo di disaccordo che metterà in moto gli avvenimenti funesti della storia,  diverrà la religione.  I Trancavel e i conti di Foix erano Catari, per lo meno in segreto, ma i loro parenti più prossimi erano ministri e Perfetti. In genere, la piccola e media nobiltà dei castelli e buona parte della borghesia delle città simpatizzavano per gli eretici e molti Perfetti provenivano da queste classi sociali.

In più, in questi territori in cui la violenza locale era già un problema, calavano bande di predatori veri e propri dal nord della Francia, dalle Fiandre e da altre zone perché qui, nonostante tutto, scorrevano “latte e miele”, rispetto al resto dell’Europa in cui l’oscurantismo feudale, la fame e le epidemie facevano da padroni. La difesa da queste incursioni di guerriglia e di saccheggi veniva organizzata nelle città e nei castelli anche con l’arruolamento degli abitanti i quali, per la funzione d’interesse comune che erano chiamati a svolgere e in virtù del contratto libero, avevano il diritto civile di essere convocati nelle assemblee pubbliche, dove fosse preso in considerazione il loro parere rispetto alle azioni da intraprendere. In un certo qual senso si può parlare di una democrazia diretta “ante litteram” ed appare evidente che il principio della responsabilità personale appare antitetico a quello della delega che si conferisce, o che viene estorta, nelle rappresentatività centralizzate autoritarie o, ancora di più, totalitarie.

Ogni volta che appare nella storia umana la rivalutazione dell’individuo nella sua interezza e nella sua autonomia, scatta il conflitto insanabile con ogni forma organizzata e centralizzata di potere che lo destruttura totalmente in mille modi.  E di volta in volta sono gli Stati, i sistemi militari ed economici e soprattutto le religioni monoteistiche più massificate, dove viene bollata di eresia, o negata e combattuta, una fede che non ha bisogno della gerarchia sacerdotale. La visione verticale del rapporto diretto dell’individuo con la divinità e il significato del suo cammino sulla Terra, senza intermediari obbligati, non resta confinata al solo campo della religione; pur senza una intenzionalità ricercata, sconfina nella vita civile del singolo e della società.

Quando l’essere umano deve vivere sotto un controllo pesante, un pugno di ferro che inibisce lo sviluppo delle sue potenzialità e lo reprime animicamente, non può conoscere, quindi non può scegliere, non può esercitare il suo libero arbitrio nello schierarsi fra Luce e Tenebra, fra Materia e Spirito; non può fare la sua Volontà Superiore, che è quella del suo doppio spirituale; perde quella  risonanza cosmica, che lo rende simile agli dei, per regredire sempre più in un  asservimento senza scampo.

Il Midi della Francia comprendeva comunità indipendenti, costituiti in Città-stato o contee, se così si possono definire, in cui vigeva un campanilismo esasperato secondo il quale tutto il “mondo” era dentro i propri confini, perché il concetto sociale di Comunità era alla base dell’organizzazione della vita dei singoli e della collettività. A volte, entravano anche in conflitto fra di loro e questa è stata, purtroppo, la debolezza che le ha perse. Al loro interno però la solidarietà fra i cittadini poteva anche giungere al sacrificio supremo, come a Beziérs, ma non esisteva alcun legame di interdipendenza o di alleanza strutturata fra città e città.  Non c’era una patria occitana, l’Occitania fu opera dei crociati e degli inquisitori.

Tuttavia, l’organizzazione sociale improntata alla libertà della persona, sia nella mobilità che nella creatività in territori relativamente circoscritti, aveva originato una vita delle comunità non solo ricca economicamente, ma intensamente progredita nella cultura, molto diffusa anche fra il popolo minuto.  Il Catarismo curava in modo particolare, oltre all’istruzione religiosa, la formazione professionale dei giovani. Ne risultava una civiltà violenta, ma, al tempo stessa, raffinata, cortese, amante delle arti.  A causa del suo liberalismo e del suo individualismo, per forza di cose, dovette scontrarsi fino alle estreme conseguenze con la rigidità del feudalesimo e, per la sua civile tolleranza religiosa, si oppose, fin che poté, alle pretese assolutistiche del Papa di Roma.

Tolosa era la terza città dell’Europa, dopo Venezia e Roma, era più importante e più ricca di Parigi.  L’intera regione era erede di antiche civilizzazioni che avevano instillato nelle popolazioni una legittima fierezza e il gusto della indipendenza e della libertà. Capitoli e consoli, eletti democraticamente, dirigevano le municipalità, imponendo le loro decisioni ai feudatari nell’interesse della comunità. Vi aveva sede l’unica università laica del continente, essendo l’istruzione esclusivo appannaggio della Chiesa cattolica che la concentrava nei monasteri.

In un’epoca in cui molti regnanti dell’Europa non sapevano né leggere, né scrivere, in tutto il Sud della Francia era fiorito rigogliosamente il movimento dell’amor cortese dei trovatori, poeti itineranti che andavano di castello in castello, di borgo in borgo, a cantare l’amore.  Se ne sono contati almeno 500, un fenomeno molto rilevante per quell’epoca.  La maggior parte di essi apparteneva ad una scuola segreta, non solamente letteraria, ma iniziatica, conosciuta sotto il nome di “Fedeli d’Amore”, alla quale appartenne anche Dante Alighieri, caposcuola di quel “dolce stil novo” che ha caratterizzato la letteratura italiana dal XIII° secolo. I trovatori, al di là dell’espressione letteraria vera e propria, avevano un messaggio in codice da trasmettere ai loro ascoltatori.  Per la maggior parte riguardava l’amore profano; qualcuno diffondeva l’insegnamento cataro, sia pure in forma velata; ma c’erano messaggi esoterici molto difficile da capire dalla gente comune e che riguardavano sia l’alchimia, sia l’erotismo come mezzo per ottenere l’illuminazione spirituale attraverso la pratica della sessualità, metodo che era già stato praticato dai Celti e in India come tantra yoga. I trovatori erano amatissimi e tenuti in grande considerazione; la nobiltà e la ricca borghesia ne erano protettrici e mecenati;  rappresentavano, in un certo qual modo, la versione profana dei Perfetti.  La maggior parte di loro proveniva dalla nobiltà povera, ma ce n’erano di tutte le classi sociali e svolgevano proprio il mestiere di poeta di corte.

La celebrazione dell’amore profano non era nata in Occitania, ma qui era diventata la sorgente della bellezza e della vita superiore dello spirito.  Aveva tratto ispirazione dalla poesia amorosa ispano-araba del XI° secolo che, a sua volta, aveva fatto propria  una tradizione culturale della corte dell’Impero Persiano che gli Arabi avevano conquistato qualche secolo prima. I Mori di Spagna avevano occupato il MIDI per quasi tutto l’VIII° secolo e i rapporti e gli scambi culturali ad ogni livello non erano mai cessati. Infatti,  nei poemi e nelle canzoni dei primi trovatori occitani si riscontrano similitudini con i poeti arabi dell’Andalusia, gli stessi temi, lo stesso pathos, le stesse rime e gli stessi ritmi.

In prevalenza, celebravano l’amore per la castellana, la Dama, davanti alla quale il poeta si sentiva come il vassallo di fronte al suo sovrano.  Non vi era niente di servile; l’adorazione era sincera perché la figura simbolica della Dama era considerata la perfezione stessa della bellezza, della grazia, dell’intelligenza e della cortesia, addirittura la raffigurazione della divinità femminile. La donna divina era cantata come l’unico mezzo attraverso il quale l’uomo si sarebbe potuto elevare nello spirito e questo era probabilmente un ricordo ancestrale inconscio, risalente agli inizi della storia umana, all’età dell’oro, la più vicina agli dei creatori, nella quale la magia era predominante e le dee diffondevano coscienza e conoscenza con il loro contatto fisico con gli uomini mortali, fluttuando in forme diverse e multidimensionali.

La donna veniva a rappresentare simbolicamente il centro di quel mondo occitano del XIII° secolo.  Nelle poesie religiose era addirittura assimilata alla Chiesa Catara dell’Amore; nell’aspetto erotico veniva invece vissuta come un potente strumento di iniziazione. Nel fenomeno trobadorico si ripresentava anche la tradizione poetica dei bardi della cultura celtica e, in ogni caso, vi era la contrapposizione inconciliabile con l’ideologia religiosa allora dominante. Infatti, il Cristianesimo e prima di esso l’Ebraismo, erano religioni patriarcali e maschiliste, come si dice oggi, che avevano spazzato via il potere del femminile.  Il dio padre era maschio, senza moglie divina, con un figlio unico pure maschio; pertanto, la concezione della condizione femminile che ne era derivata, era stata la negazione stessa del valore della persona in sé; la sottomissione totale alla gerarchia padre-padrone-padreterno era la norma di vita.

Il declino della poesia occitana fu la conseguenza della crociata e della repressione inquisitoriale che durò più di un secolo. Fin che il Paese restò libero, il tema della poesia fu sempre l’amore; ma quando i Crociati invasero l’Occitania, massacrando, torturando e saccheggiando, i canti amorosi fecero posto alla narrazione dolorosa e disperata di quello sterminio. Gli ultimi trovatori, ignoranti e servili, s’inchinarono ai conquistatori e, celebrando l’amore casto, sostituirono la figura della Vergine Maria a quella della Dama, ripudiando così l’eredità dell’amore cortese autentico che era stato l’espressione della vitalità e della joie de vivre di quella civiltà.

Il Cristianesimo aveva  rivalutato solo apparentemente la donna con il culto di Maria Vergine, madre di Gesù; ma, allo stesso tempo, aveva demonizzato l’energia e la sessualità femminile al punto da non esitare, nel corso dei secoli bui dell’Inquisizione, a bruciare sui roghi migliaia di donne in tutta l’Europa con il pretesto della “caccia alle streghe”.  In realtà erano quelle donne del popolo, depositarie della conoscenza e della fruizione magica e fisica della Natura e del suo potere di guarigione energetica e che, in questa loro funzione, erano intermediarie fra il Cielo e la Terra, tra le Energie cosmiche e gli esseri umani.

Strabone, storico romano dell’epoca della conquista della Gallia, disse di avere riscontrato nei Pirenei Occidentali una società di tipo matriarcale nella quale i modelli di comportamento morali e sociali erano rappresentati dai personaggi femminili dei miti.  In effetti, nel costume delle alte valli dei Pirenei sopravvivevano reminiscenze di antichissime civiltà pre-indoeuropee, in cui vi era l’assoluta parità dei sessi, la libertà sessuale delle donne, il controllo delle nascite e l’assenza di ogni gerarchia patriarcale.  Nella religioni animiste di quel tempo non c’erano intermediari e gli esseri umani si rapportavano alle divinità della Natura in modo diretto.

Le divinità pirenaiche autoctone femminili erano entità solo della Terra, il Cielo era assente o poco importante in quella cosmogonia ed erano le hadas, le fate; le damas, le signore; La jaganta, la giganta.  Nessuna di loro era creatrice del mondo, ma costituivano l’essenza della Natura che esiste di per se stessa, senza che nessuno l’avesse creata. Le hadas e le damas sono le fate che appartengono al piccolo popolo che vive nel mondo ctonio, sotterraneo, nelle grotte della montagna in cui vi sono le sorgenti d’acqua.  Sono esseri benevoli, risanatori che incarnano il Bene; lavano il loro vestito, rigorosamente bianco, filano, cuciono, impastano e cuociono il pane.  La dea Madre MARI,  è la concretizzazione delle forze della Natura, ma anche la divinità dell’era neolitica e cucina per tutte. Per quella cultura era assolutamente incomprensibile che ci fosse un unico dio maschio creatore che domina il mondo, che conferisce a sua discrezione il potere ad un uomo, un re, per governare o dominare un popolo, e a tutti gli uomini in generale di dominare le donne.

Nei culti solari dell’età del bronzo erano venerate Dee Madri che, nei millenni successivi, durante la dominazione dell’Impero, si erano fuse con le divinità femminili romane e rappresentavano la fecondità, la prosperità e la Natura nel suo insieme.  In particolare queste dee, di cui si ricorda Sulis e, successivamente Arduina, chiamata la Diana delle Ardenne, avevano funzioni taumaturgiche ed erano associate alle acque di sorgenti sacre in uno sfondo di tipo animistico.

Un altro contributo fondamentale alla perpetuazione del principio divino femminile era venuto dalle colonie che i popoli mediorientali avevano fondato sulla costa meridionale della Francia, in Spagna e a cavallo dei Pirenei, proprio fino a Tolosa e a Carcassonne, dal VII° al V° secolo a.c. I Medi e i Persi adoravano ANAHITA, l’unica dea iranica, l’Alta, la Potente, l’Immacolata, vestita di un mantello di broccato d’oro, coronata di stelle e di raggi luminosi.  Era la dea delle acque purificatrici e fecondanti; saggia, combatteva per la giustizia.  Al tempo stesso, era anche il pianeta Venere, la stella del mattino, la più lucente del cielo. I Fenici vi avevano portato i loro dei; anzi, le loro dee che avevano paredri maschi, però a loro inferiori.  BA’ALAT, grande signora di Byblos; ma sopratutto ASHTART-ASTARTE, Regina del Cielo, dea della fecondità, dell’amore e della guerra, che incarnava la vitalità sensuale e sessuale e che si presentava come una divinità cosmica che abbracciava Cielo e Terra. Anche il culto della Maddalena in Francia, all’esordio del Cristianesimo storico, si era diffuso ed aveva attecchito in un terreno assolutamente fertile per dare corpo al valore e al potere del femminile; allo stesso modo in cui le donne, nella religione catara, divenivano Perfette e la femminilità stessa era celebrata dai trovatori come intermediaria fra l’uomo e dio.

Secondo Salvador Freixedo (ex sacerdote gesuita, esperto di filosofia, teologia, psicologia, parapsicologo ed ufologo) era una hada, o forse, la stessa dea-madre Mari, la DAMA che apparve a Lourdes, nella cristianizzazione identificata con la Vergine Maria e questo è l’esempio classico della   predazione e dell’assimilazione di un culto autoctono anteriore. Bernadette Soubiroux, per i primi anni, parlò sempre di una “Dama Blanca”; successivamente la Chiesa decise che questa “forma”, questa “entità” bianca e sorridente fosse la Madonna, anzi, l’Immacolata Concezione, il cui dogma era stato annunciato poco prima dal Papa di allora. La visione avvenne nella Grotta di Massabielle, una delle tante detta “delle fate”, che sono luoghi in cui condizioni geomorfologiche ed energetiche particolari e sempre in presenza di sorgenti d’acqua, consentono un contatto del tutto eccezionale fra questi personaggi ultradimensionali e gli esseri umani.  Lourdes non fu né l’unica, né l’ultima apparizione, come documentato da ricercatori e cronisti outsiders.  Ve ne furono in altre grotte della zona; ma la Chiesa, per non perdere in credibilità, per non mettere a rischio tutta l’organizzazione e il business che, intorno a questa apparizione si era creato, ha acquisito il controllo di queste grotte e ha messo tutto a tacere.

D’altra parte, tutta la storia di quelle regioni del Sud è particolare. La popolazione autoctona era costituita dai Celtiberi che derivavano dalla fusione di due razze: gli Iberi Euskes che, secondo Strabone, s’installarono nella zona almeno 4000 anni a.c. erano provenienti da terre a sud del Caucaso, di stirpe semitica; attraverso l’Africa del nord e aggregando altri popoli che incontrarono sul loro cammino, giunsero in Spagna e si stabilirono sui due versanti dei Pirenei. Qualche millennio dopo arrivarono i Celti, popolazione indo-ariana proveniente dal nord del Caucaso, il cui livello di sviluppo era superiore a quello degli Euskes.  Dopo le guerre iniziali, ci fu una integrazione basata sul rispetto delle differenze che convenne ad entrambe le etnie che non ebbero mai, nella loro cultura, la concezione di Stato o Nazione unitaria e centralista. Rimasero sempre organizzate in tribù più o meno numerose e potenti, a loro volta suddivise in clan, spesso in guerra fra loro, ma mai sottomessi ad un potere centrale, impersonale, lontano e incontrollabile; la loro era un’organizzazione sociale e politica da “piccole patrie”, come si direbbe oggi.

Secondo testimonianze storiche attendibili, già dal ‘700 a.c. avevano iniziato ad insediarsi numerose colonie di Fenici, corrispondenti più o meno all’attuale Libano che, nella loro terra di provenienza, erano organizzati politicamente in Città-Stato, assolutamente indipendenti l’una dall’altra, nelle quali addirittura le divinità erano diverse, o erano le stesse, ma con nomi diversi.  Successivamente questi primi coloni si allearono e si fusero con altri popoli semitici, a mano a mano che vi arrivavano. Ognuno di questi popoli portava le sue caratteristiche e specificità razziali, i suoi costumi, ma soprattutto i propri dei, la cui energia era mantenuta viva e potenziata attraverso una identificazione simbiotica. L’afflusso delle popolazioni mediorientali in quella parte della Gallia e della Spagna fu molto antecedente al Cristianesimo.  Lo stesso Impero Romano vi mandava in esilio i suoi oppositori; certo è che la prima grande diaspora ebraica del 70 d.c. ingrandì numericamente questi insediamenti e potenziò la cultura giudaica e semitica in tutte le sue sfumature.

Giulio Cesare scrisse nel “De bello gallico” che la Gallia del suo tempo era occupata da tre popoli: i Belgi al Nord, i Celti al centro e gli Aquitani al Sud che differivano completamente per lingua, costumi e leggi. Gli Aquitani erano una confederazione di tribù indipendenti; gli Euskes, in particolare, mantennero la loro libertà e indipendenza più a lungo perché il loro territorio montagnoso era molto difficile da conquistare.   Cesare diede nome di Auskitains o Aquitains all’insieme delle tribù, ma denominò SOTIATES – abitatori delle grotte – questi indigeni astuti, che sottomise con molta difficoltà, perché avevano l’abitudine di ritirarsi nelle cavità sotterranee di cui i Pirenei, più di ogni altro sistema montano, sono crivellati.

Già questo primo incontro con Roma fu completamente nefasto per questa civiltà, in quanto l’Impero romano costituiva il governo mondiale di allora, la prima potenza militare e politica; tuttavia l’esercizio dell’imperium non prevedeva l’annientamento delle radici e dei collegamenti energetici con le divinità dei popoli vinti, i cui obblighi consistevano nel pagare i tributi, nel venerare l’imperatore e nel sottomettersi alla legge e al diritto romano.  Il politeismo veniva così a rappresentare un grande crogiuolo di religioni, culture e tradizioni differenti che, confrontandosi ed amalgamandosi, sfociavano spesso in un sincretismo evolutivo per tutte le popolazioni, romane comprese, essendo occasione continua di scambi interetnici e interculturali che costituivano  il lievito delle coscienze non solo delle élite, ma delle masse popolari dell’impero.  Il culto del dio persiano Mitra diffuso dai soldati originari della Cilicia in tutte le legioni stanziate sul territorio europeo imperiale è l’esempio più significativo.

Questa regione entrò in gioco nella guerra fra Roma e Cartagine per la conquista totale della Spagna, che avvenne con la vittoria di Roma nel 134 a.c. e con le ribellioni all’impero degli anni successivi. Mentre Giulio Cesare sottomise abbastanza facilmente tutti i popoli Galli delle pianure, ebbe vita dura in Aquitania e dovette arrestarsi ai confini dei territori montuosi degli Euskes o Sotiates perché l’esercito romano venne decimato. Nel 58 a.c. Roma volle la rivincita e mandò Crasso in Aquitania al fine di sottometterla definitivamente.  Lo scontro decisivo, in cui i Sotiates furono sconfitti, avvenne all’oppidum della città di Foix, sulla roccia su cui poi sorse il castello dei Conti di Foix. Tuttavia, la caduta di questa roccaforte non comportò la sottomissione di tutta la nazione Sotiate.  Il capo supremo, Adcantuam, chiamò alla resistenza tutti i capi clan delle montagne; ma erano solo 600 e la vittoria restò in mano ai Romani. Tutte le tribù Euskarie tentarono una eroica controffensiva, purtroppo con esito negativo, e così anche quegli altri popoli o tribù indipendenti, che formavano una cintura intorno ai Sotiates, furono costretti a sottomettersi a Roma.  Da allora, la nazione Sotiate non esistette più e fu inglobata nella provincia romana di Narbonne.

Nel 412 d.c. i Visigoti, dopo che avevano sconfitto Roma, mettendola a ferro e a fuoco, fondarono  in quei territori il loro Impero, portando addirittura  con sé, nella zona dei Pirenei, il Tesoro del Tempio che Tito aveva preso come bottino di guerra a Gerusalemme e che essi, a loro volta, avevano razziato. I Visigoti erano un popolo seminomade che, partito dalle rive del Baltico, dopo aver errato per una decina di anni nei Balcani, già nel 340 si era convertito al Cristianesimo secondo Ario, che non considerava Gesù Cristo un dio come il Padre, ma solo un’entità inferiore, per quanto perfetta. Nonostante fossero i vincitori, furono affascinati dalla civiltà romana e si misero al servizio dell’impero, avendo il loro re Althauf sposato Placidia, sorella dell’imperatore Onorio.  Per reprimere un tentativo di secessione, fomentato dall’aristocrazia gallo-romana, centomila Visigoti furono inviati in Gallia e qui essi si proposero di sostituire all’impero romano agonizzante un impero goto che lo rinnovasse.

Il Regno visigoto d’Aquitania durò dal 415 al 508, durante i quali estese i suoi possedimenti alla Spagna, estendendosi dalla Loira all’Andalusia e dall’Atlantico al Rodano con capitale dapprima ad Arles, poi a Tolosa.  Nel territorio del loro impero, rispettarono tutte le diversità culturali e religiose che vi avevano trovato.  In particolare, mantennero dei rapporti privilegiati con le comunità ebraiche, tanto che molti Ebrei occupavano posti di responsabilità nell’amministrazione pubblica; i matrimoni misti erano incoraggiati e i termini “goto” e ebreo” erano spesso considerati sinonimi nel resto della Francia di allora e tutta questa vita d’integrazione, durò più di duecento anni. Desiderosi di mantenere l’eredità culturale romana, i suoi re promulgarono nel 475 la “Legge dei Visigoti”, ad imitazione della legislazione imperiale e, nel 506, il pregevole trattato di diritto romano amministrativo, penale e finanziario, grazie ai quali furono risparmiate alla Francia meridionale la rozzezza e l’arbitrio dei costumi feudali e i diritti individuali, almeno in teoria, erano garantiti. Non solo, ma ogni volta che si ritiravano da un territorio, quando era possibile, pattuivano con il vincitore il rispetto delle loro leggi.

Erano troppo pochi però per tenere sotto controllo un territorio così vasto, vivendo dispersi fra una popolazione gallo-romana che li considerava degli stranieri eretici, aizzata dal clero cattolico che non cessava di complottare contro di loro. Nel 508 il Regno visigoto d’Aquitania fu conquistato da Clodoveo che, a seguito del patto con la Chiesa di Roma del 496, fu incaricato dai vescovi di quel territorio di spazzare via gli eretici ariani.  In un certo modo, fu questa una prefigurazione della crociata di Simon de Montfort contro i Catari del 1209. I Franchi erano guerrieri valorosi, ma brutali e non avevano alcuna esperienza di amministrazione pubblica, sicchè i vescovi occupavano tutti i posti di potere e acquisivano patrimoni e rendite a man bassa. Clodoveo, dal canto suo, ne ricavava la conferma della legittimità del suo diritto divino ad essere il “nuovo Costantino”, l’unico re erede dell’Impero Romano, anzi dell’ormai “Sacro” Romano Impero.  Oltre tutto, questa investitura spirituale gli assicurava la fedeltà  e la sottomissione dei popoli conquistati.

Allorquando i Visigoti furono detronizzati e si ritirarono a Barcellona, in Francia rimase visigota Septimania, una regione che comprendeva più o meno il Roussillion, l’Aude, l’Hérault e le Gard. Nei circa 300 anni successivi Septimania condivise tutte le sorti del regno visigoto di Spagna con alterne vicende di riconquista e di definitiva sconfitta.  Subì anche l’invasione dei Vascons, gli attuali Baschi, che non sono indo-europei e ancora oggi la loro origine e la loro lingua restano misteriose. Ancora  durante il VI° secolo, la capitale del regno visigoto di Spagna fu trasferita a Toledo, essendo la dinastia in preda ad un disordine e ad una decadenza inarrestabili.  Il re Recaud si convertì al Cattolicesimo e il Concilio di Toledo decise che il re, da quel momento, dovesse essere eletto dal clero e dai notabili, perdendo così tutta la sua indipendenza e il suo diritto di sangue. Per ordine della Chiesa, iniziò immediatamente la persecuzione degli Ebrei che, fino al allora, avevano vissuto liberamente ed erano sempre stati tenuti in grande considerazione. Septimania però non aderì a questa imposizione perché le sue comunità israelitiche erano troppo ricche es potenti; anzi, fece la secessione.  Il re di Toledo, Wamba, la recuperò al suo regno, ma dovette sottoscrivere la non perseguibilità dei Giudei che mantennero il loro status all’interno di questo possedimento.

Gli Ebrei spagnoli, detti Sefarditi, per difendersi o per vendicarsi delle persecuzioni visigote, nel 712 chiamarono in loro aiuto i Musulmani dell’Africa del Nord e l’emiro Tariq, con un potente esercito, attraversò lo stretto di Gibilterra. Nel giro di due anni, tutto il nord-est della Spagna era in mano musulmana e nel 713 un primo raid arabo penetrò anche in Septimania e invase la Francia del Sud. Carlo Martello nel 732 fermò i Mori a Poitiers, ma la sua non fu una vittoria definitiva, in quanto resistevano ancora nell’enclave di Narbona, alleati agli Ebrei di Septimania.  Nel 759, con un voltafaccia spregiudicato, gli stessi Ebrei fecero fuori proditoriamente i Mori, avendo pattuito con i Franchi il riconoscimento della titolarità e della indipendenza del Principato Ebraico di Septimania, nel quale venne insediato un sovrano di nome Teodorico, solo nominalmente soggetto alla sovranità di Pipino il Breve, che  già incoronato re dei Franchi dal Papa, diede inizio alla stirpe reale carolingia.

Il figlio di Teodorico, Guillem di Gellone fu un valoroso guerriero che sconfisse definitivamente i Mori nel 790 e nel 793, che non misero mai più piede militarmente sul suolo francese. Strettamente in sintonia con Carlomagno, di cui fu Pari, ingrandì molto l’estensione territoriale del principato che venne a coincidere, più o meno, con il decaduto impero visigoto, tanto che egli portava, fra i tanti, il titolo di Conte di Barcellona, di Tolosa, di Alvernia e del Razès.  Autentico eroe storico, la sua vita fu celebrata nelle Chansons de geste; anche Wolfram von Eschenbac scrisse per lui un poema epico “Villehalm” che rimase incompiuto e Dante lo ricordò come “Guglielmo” nel XVIII° canto del Paradiso. Fu anche un amante della cultura e studioso lui stesso; fondò a Gellona un’Accademia di Studi giudaici con una vastissima biblioteca e qui nacque una delle prime sedi europee del culto della Maddalena.

Con tutta una serie di matrimoni dinastici con i discendenti dei Merovingi e dei Visigoti,  al fine di acquisire una legittimazione genealogica ereditaria, e l’imparentamento con i Carolingi che invece serviva a neutralizzare eventuali opposizioni e conflitti, già nel IX° secolo, la stirpe di Guillem de Gellone era culminata nei primi duchi d’Aquitania, ma vi discendevano anche Goffredo di Buglione, duca di Lorena, il fondatore di quell’Ordine di Sion che tesseva nell’ombra le trame per il potere, Re in pectore del nuovo Regno Cristiano di Gerusalemme,  e il casato dei Conti di Tolosa, che s’incontra storicamente già nel 861, e che una parte fondamentale avrà nella storia della Linguadoca e dell’eresia catara.

In una società di tutto un continente, totalmente dominata dalla Chiesa di Roma che, con la falsa storia della “donazione di Costantino”, teneva tutti in pugno, è chiaro che i regnanti, di qualsiasi stirpe fossero discendenti, si dichiarassero ufficialmente cristiani, cattolici, riconoscenti l’autorità del Papa come unico rappresentante di Dio sulla Terra. Alcuni, però, avevano poi tutta un’altra visione del mondo e lavoravano sotterraneamente per rompere la gabbia che li teneva imprigionati, attraverso la coltivazione e la propagazione intellettuale e spirituale di una cultura alternativa ed edificante allo stesso tempo, come quella del Graal e per rivendicare il proprio lignaggio e il diritto di sangue alla sovranità, sottraendola al potere assoluto e arbitrario del papato.

Ad ogni modo, l’instabilità, i continui rivolgimenti politici e sociali, le forti differenziazioni etniche e culturali, nel corso dei secoli, avevano creato una situazione di anarchia e, approfittando della debolezza o della carenza di un potere dirigista, ognuno si occupava soltanto dei propri interessi senza preoccuparsi degli altri.  Lo spirito di indipendenza si accrebbe a dismisura in tutte le classi sociali e, nonostante tutti i tentativi che, di volta in volta, venivano fatti per fondare un regno aquitano, occitano che fosse solido e autorevole, non si arrivò mai al fine. Ci provò Carlo Magno, d’imperio, già nel 778 a ricomporre il regno d’Aquitania, conferendo tutti i posti di responsabilità, contee, vescovati e monasteri a Franchi di sua assoluta fiducia, ma furono anni di degenerazione totale e di miseria vera e propria per le popolazioni, fin che, intorno al X° secolo, cominciarono ad emergere delle dinastie locali che presero piede e, rivitalizzando quelle comunità e la loro economia, diedero una svolta alla storia.

In Linguadoca l’Arabo e l’Ebraico erano studiati con entusiasmo; vi si trovavano anche due importanti scuole di Kabbala e il pensiero filosofico-esoterico islamico, giudaico, ma anche quello che ancora sopravviveva della Tradizione Gnostica del Medio Oriente e dell’Asia Minore vi penetrava attraverso i centri commerciali marittimi come Marsiglia, o venivano dalla Spagna  attraverso i Pirenei, così che in quella terra la tolleranza religiosa costituiva un valore culturale e civile ben radicato, in contrasto con il fanatismo del resto dell’Europa.  Tutti i culti erano permessi; la libertà di opinione, di parola e di insegnamento era totale. Si può dire che la civiltà occitana nacque da questo humus particolarmente fecondo, ma che fu anche portatore dei mali che causarono la sua tragica fine: la debolezza del potere diffuso e la disunione.

Per contrasto, la situazione della Chiesa di Roma era ad un livello morale più che basso, infimo, si potrebbe dire. Nei due secoli precedenti il potere reale era stato inesistente e ogni abitante aveva potuto avvalersi della “personificazione del diritto”, cioè essere giudicato secondo la legge romana, il diritto visigota o il costume franco.  Solo quando i giudici non ressero più la complessità del sistema, ci si uniformò alla “convenentia”, cioè al costume.

I capi delle abbazie e i vescovi venivano designati dai vari signori feudali sulla base delle loro convenienze più materiali e la maggior parte dei dignitari ecclesiastici era invisa al popolo per la sua arroganza, ignoranza, dissolutezza, violenza e rapacità tanto che disprezzava sempre di più la Chiesa Cattolica di Roma.  Addirittura, nelle località isolate, erano ancora molto diffuse le credenze pagane e si continuavano a celebrare i riti celtici alle sorgenti e nei boschi. I curati di campagna erano reclutati fra i contadini, quasi tutti analfabeti, ma superstiziosi come tutti i loro parrocchiani e corrotti come i loro vescovi. Vi erano, sparsi qua e là sul vasto territorio, dei monasteri i cui monaci avrebbero potuto, in qualche modo, controbilanciare questa situazione così marcescente, ma non riuscivano a spuntarla contro l’ostilità del clero secolare che non intendeva rinunciare neanche un po’ al suo arricchimento e alla sua vita licenziosa, fuori da ogni controllo e da ogni sanzione.

Nel secondo secolo del millennio la situazione di vita migliorò nella generalità, forse proprio in ragione delle crociate che, di fatto, costituirono lo smaltimento del surplus della popolazione improduttiva e un allontanamento, almeno temporaneo, di quelle torme di briganti che infestavano città, borghi e castelli poiché, per la maggior parte, si erano aggregate all’esercito crociato.

I nuovi ordini monastici dei Circestensi e dei Templari, con la loro enorme potenza economica che traeva alimento dalle crociate stesse e con il loro carisma, dettero un volto più rispettabile e autorevole alla Chiesa di Roma che cominciò a riprendersi il suo potere totalizzante in modo determinato, imponendosi anche a quei sovrani che, precedentemente, vi si erano sottratti. Ad ogni modo, essendo aumentata un po’ la sicurezza, era ripreso anche un incremento controllato della popolazione, particolarmente nelle città nelle quali la borghesia si arricchiva con la maggiore estensione dei commerci e delle attività produttive. Anche i contadini si arrischiavano ad allontanarsi dalle immediate vicinanze delle mura delle città e dei castelli e dissodavano terre incolte, estendendo l’agricoltura e il pascolo.  Non erano considerati servi, ma piccoli borghesi coltivatori.  I rari servi che ancora esistevano avevano i mezzi per affrancarsi o per affrancare la loro discendenza perché potevano riscattare la loro libertà a basso prezzo, oppure sposare un uomo o una donna liberi.

Già nel 1145 San Bernardo intraprese nel Midi una missione personale al fine di riportare in seno alla Chiesa quel popolo scosso e disperso.  Rafforzò la fede dei credenti, ma non ottenne alcun risultato sulle anime già settarie.  Lui stesso ebbe a dire della sua esperienza che le basiliche erano senza fedeli, i fedeli senza preti e i preti senza onore. Le più antiche manifestazioni eretiche, però, erano già state denunciate nel Concilio di Reims del 1030 e, nel secolo successivo, nel biennio 1124-1126, proprio in Linguadoca erano apparsi personaggi che, pubblicamente, rigettavano il battesimo ai bambini, il culto delle immagini, la presenza reale del Cristo nell’ostia, la virtù espiatoria del sacrificio della croce, l’edificazione delle chiese, le preghiere  per  i morti e le  cerimonie del culto, ma non erano presenti riferimenti al dualismo che costituiva l’essenza della religione catara. Tutt’al più qualche allusione, poco significativa, al rito della imposizione delle mani.

Il termine “Albigesi” s’incontra nei documenti storici, per la prima volta nel 1181 e viene comunemente considerato sinonimo di “Catari”, ma non è così ed è necessario chiarire il giusto significato. Gli Albigesi costituivano l’insieme degli eretici e dei settari che comprendeva anche i Catari, o Manichei, o Ariani come erano meglio conosciuti e che non erano neanche la maggioranza.  Tra i tanti singoli che predicavano a titolo personale e in buona fede, vi erano mestatori e infiltrati che si facevano scudo, per la loro criminalità, di una pratica fanatica, ma falsa dell’eresia e mettevano in atto, per il loro tornaconto, le parole d’ordine simboliche delle sette ereticali: spogliare i templi, distruggere le proprietà ecclesiastiche, ridurre la Chiesa alla povertà evangelica dei primi tempi.  Ciò, naturalmente, più che le dottrine vere e proprie, può essere stata la causa scatenante di quella repressione che, poi, cancellerà tutto. Infatti, quando arrivò la disfatta, gli eretici turbolenti o poco convinti si dissociarono subito e simularono facilmente la conversione cattolica; mentre i Catari, al contrario, rimasero saldi nella loro fede e quando erano catturati e venivano offerti loro il perdono e la vita salva in cambio dell’abiura, rifiutavano e preferivano morire.

Il Catarismo non era originario del sud della Francia, bensì era una religione d’importazione orientale,   balcanica. Storicamente, la religione catara comparve nel nord della Francia nel 1147, portata da alcuni francesi, reduci della seconda crociata, che l’avrebbero conosciuta a Costantinopoli. Ritornati a casa, iniziarono la predicazione che prese subito piede fra gli Occitani del Sud. Secondo gli alchimisti, per fabbricare l’oro bisogna partire dall’oro, vale a dire che bisogna partire da una realtà già esistente e la Linguadoca di quegli anni, per tutti i motivi che sono stati sopra ricordati, rappresentava il terreno fertile, arato, concimato e irrigato per far maturare una grande messe.

La predicazione catara aveva preoccupato subito la Chiesa fin dal suo apparire, o riapparire come continuazione del Manicheismo, altra dottrina dualista, già estirpata nei secoli precedenti in bagni di sangue e aveva dato indicazione ai vescovi di arrestare l’eresia e imposto al potere secolare la confisca dei beni degli eretici. In quella zona del Midi, però, queste sanzioni non erano servite a niente: gli eretici erano divenuti numerosi e potenti.  Molti erano i signori che affidavano l’educazione dei loro figli ai ministri catari, i quali avevano aperto delle case dette “hostel” che erano conventi e scuole per la gioventù indifferentemente nobile, borghese o povera. Molti nobili accoglievano apertamente sulle loro terre i ministri catari che erano considerati maestri e consiglieri e il popolo, dal canto suo, si staccava sempre più dalla Chiesa Cattolica, non frequentava più i sacramenti e disprezzava gli ecclesiastici. La gente della Linguadoca ammirava incondizionatamente i Perfetti che, nel loro rigore ascetico e nell’amore attivo e concreto che avevano per tutti, erano l’esatto contrario del clero secolare corrotto, degenerato e scandaloso.  Infatti, una volta che ebbero dato il cuore a questi predicatori, gli Occitani non indietreggiarono davanti a nessun sacrificio di denaro, né ad alcuna pena per sostenere la causa che avevano abbracciato.

Le Perfette catare, in particolare, si dedicavano alla preghiera e contemporaneamente all’educazione della gioventù di tutte le classi sociali. Insegnavano non solo a leggere, a scrivere e a far di conto a livello elementare, bensì preparavano i giovani a vivere attivamente nella società occitana dinamica ed evoluta rispetto al resto del continente. L’istruzione religione era importante, ma altrettanto lo era l’istruzione professionale in quanto il principio era che tutti dovessero lavorare, dovessero essere utili a se stessi e agli altri.  Si era allora nell’Alto Medioevo e in un periodo in cui molti signorotti potenti non sapevano leggere e scrivere, si può ben dire che i Catari siano stati veramente dei precursori, dei seminatori che hanno tracciato i solchi della evoluzione storico-sociale dell’Europa. Secondo Rudolf Steiner, il Manicheismo con i filoni neo-manichei e quindi i Catari non erano apparsi nella spiritualità e nella storia dell’uomo europeo soltanto per proporre una particolare interiorità individuale, bensì il loro vero scopo era stato quello di gettare le fondamenta di strutture o comunità che diffondessero pace e amore in un nuovo modello di aggregazione e di convivenza sociale.

I Catari furono contemporanei ai Templari per almeno due secoli e, fin dall’inizio, ebbero sempre buoni rapporti fra loro.  Si dice che uno dei nove fondatori, non chi precisamente, fosse stato cataro; ma, sicuramente, un Gran Maestro, il 4°, uno dei più importanti, fu Bertrand de Branchefort che proveniva da una famiglia catara.   C’era una specie di interscambio fra il potente Ordine del Tempio e la piccola, locale Chiesa catara, priva di qualunque pretesa di potere.  Tuttavia, è storia che molti giovani uomini, educati da madri, nonne, sorelle, magari Perfette, dovendo restare nel mondo per le loro attività esistenziali, ufficialmente erano solo simpatizzanti, o addirittura indifferenti a questa religione, ma entravano facilmente nell’Ordine del Tempio che, contrariamente alla regola, non li mandava in giro per il mondo, ma li lasciava nelle commanderie di quella zona.

In occasione del genocidio della famosa crociata contro l’eresia del 1209, Papa Innocenzo III°, che pure era stato monaco circestense a Clairvaux, un discepolo di San Bernardo, rinfacciò ai Templari di essere troppo poco cristiani, in quanto non parteciparono a quella guerra di stermino contro popolazioni inermi non solo catare.  Il loro Gran Maestro disse, in quella occasione, che gli unici veri infedeli erano i Saraceni, prendendo una posizione ben precisa. Ufficialmente l’Ordine si mantenne neutrale, ma molti suoi adepti, a titolo personale e senza mantello, combatterono fianco a fianco con gli eretici, o veri cristiani, secondo le interpretazioni; contribuirono a sostenere i costi militari della difesa; predisposero propri rifugi e protezioni per i Catari in fuga.

Se il 1244 rappresenta la fine del Catarismo organizzato con il rogo degli ultimi Perfetti a Montségur, ma ridotto a pochi superstiti clandestini fino al 1325,  in cui fu bruciato l’ultimo Perfetto rimasto in circolazione, Belibaste, anche la liquidazione dei Templari fu contemporanea. Nel 1307, in un sol giorno, furono arrestati o costretti alla fuga da Filippo il Bello che voleva avere le loro immense ricchezze, con la complicità di Papa Clemente V°, arcivescovo di Bordeaux, di cui il Re di Francia era stato grande elettore. Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dei Templari, morì sul rogo nel 1314, dopo 7 anni di prigionia, profetizzando la morte imminente dei suoi aguzzini (il che avvenne, sia per il Papa che per il Re entro l’anno stesso) e il ritorno dei Cavalieri del Tempio dopo 600.

Con l’annientamento dei Catari e, successivamente dei Templari che, nel corso della loro esperienza storica, erano riusciti, attraverso la conoscenza e la rielaborazione degli insegnamento più segreti degli Antichi Culti e della Gnosi Originale, a riportare nell’Europa dell’oscurantismo cattolico la Tradizione Primordiale, s’interruppe il legame diretto fra il piano materiale e il piano cosmico superiore, il dialogo diretto con lo Spirito divino, con il Graal immateriale. Questa separazione generò squilibrio fra energia e materia; tutto divenne sempre più denso, pesante e opaco; l’uomo come individuo e l’umanità nell’insieme atrofizzarono i propri sensi e le proprie capacità divine e degenerarono con il loro mondo.

Molto interessante è il pensiero di SIMONE WEIL espresso ne: “I Catari e la civiltà mediterranea”, nella quale la grande filosofa francese vede una continuità profonda fra le grandi civiltà mediterranee dell’antichità e il Rinascimento Romanico ed indica nella Crociata Albigese una svolta decisiva per la storia d’occidente, culminata negli orrori della II guerra mondiale, periodo nel quale l’autrice scrive.   Secondo la sua visione si trattò di una scelta storica destinata a condizionare il clima spirituale d’Europa perché, in terra cristiana, s’impose la ragione di Stato, ovvero le pure ragioni della forza. Un altro modello di società, ben diverso da quello germinato in terra occitana e umbra con Francesco d’Assisi,  prese allora forma e s’impose durevolmente alle coscienze, aprendo la via al centralismo, al nazionalismo, al totalitarismo, (al mondialismo attuale) – nda) ed infine allo spirito di parte ideologicamente motivato.  Fu una frattura delle coscienze che arrestò la circolazione delle idee nella ricerca di forme di vita sociale e spirituale più alte.  La riflessione sulla civiltà d’oc è un segno tragico di una scelta di civiltà.

Secondo SIMONE WEIL “il Catarismo è stato in Europa l’ultima espressione viva dell’antichità preromana. Prima delle conquiste romane i Paesi del Mediterraneo e il vicino Oriente formavano una civiltà, non certo omogenea, perché vi era una grande diversità da un Paese all’altro, ma contigua.  Uno stesso pensiero viveva negli spiriti più elevati, espresso in forme diverse, nei misteri e nelle sette iniziatiche d’Egitto, di Tracia, di Persia e le opere di Platone costituiscono la più perfetta espressione scritta in nostro possesso di questo pensiero… Platone stesso presenta sempre la sua dottrina come proveniente da una tradizione antica, da un medesimo pensiero originario del quale il Cristianesimo è stato il continuatore. Solamente gli Gnostici, I Manichei e i Catari, però, sembrano essergli rimasti veramente fedeli.  Essi sono sfuggiti alla grossolanità di spirito, alla bassezza di cuore che il dominio romano ha diffuso su vasti territori che costituiscono ancora oggi l’atmosfera dell’Europa…”     “…L’uccisione del Paese occitano è il momento in cui la civiltà romanica è morta.  Il XIII° secolo tagliò il legame dell’apertura a tutte le correnti spirituali esterne.  A partire da quel secolo l’Europa si ripiegò su se stessa e presto non uscì più dal suo continente se non per distruggere… La soppressione della civiltà occitana ha rappresentato una svolta per l’intero destino dell’Occidente, in quanto segna un passaggio decisivo lungo il percorso di una civiltà posta interamente sotto il segno della forza…  L’affermazione della forza è il segno brutale dell’Occidente. …  In quell’inizio di XIII° secolo, la Cristianità si è trovata a compiere una scelta. Ha scelto il Male. Quel Male ha portato dei frutti, e noi siamo nel Male”.

Lascia un commento da Facebook

Leave A Response

* Denotes Required Field